I darśana o “punti di vista” (sui Veda) sono parte della tradizione filosofica smṛti “secondaria”. Sono illustrazioni di argomenti sapienziali coerenti con la tradizione vedica: ognuno di essi ha un autore, una storia, un contesto, più commentari. Conoscere tutti questi “punti di vista” sui Veda è impossibile, ma sapere qualche cosa sulle loro linee essenziali aiuta a comprendere un po’ meglio l’ambito in cui ci muoviamo, lo yoga, poiché gli Yoga Sūtra ne fanno parte e, come parte di un complesso, di un tutto, danno per scontata la conoscenza anche degli altri darśana o almeno qualche nozione sull’architettura complessiva di questa affascinante costruzione filosofica.
Non si tratta di un argomento solo teorico o accademico. Tutta la filosofia indiana è soprattutto pratica. Quindi è più facile da comprendere se la si studia con riferimento alla propria pratica, logica, meditativa, devozionale; sicuramente esperienziale.
Sāṁkhyakārikā è il testo fondamentale della scuola filosofica sāṃkhya, ritenuta la più antica. Secondo questo sistema filosofico, tutto nasce dall’interazione tra la natura, praktṛi, e la molteplicità delle anime, puruṣa. L’inizio del testo non lascia dubbi sul carattere pratico di questa filosofia: “E’ necessario trovare il modo di contrastare la sofferenza, che può assumere tre forme. Alcuni dicono che questo non è vero, che i modi per contrastare la sofferenza esistono, io dico di no, perché questi modi non sono né efficaci, né durevoli” (Sāṁkhyakārikā, 1). Il superamento della sofferenza nasce dalla conoscenza discriminante del mondo manifesto, sempre in evoluzione, e di puruṣa, che è esistenza allo stato puro. “I modi della conoscenza sono tre, la percezione, l’inferenza, e la testimonianza di una fonte autorevole” ((Sāṁkhyakārikā, 4).
I Nyāya Sūtra, attribuiti a Gautama, sono particolarmente notevoli per la metodologia, ripresa poi da anche da altre scuole filosofiche. Come percepire la realtà in modo veritiero? Come difendersi dai ragionamenti ipotetici, ricordi, supposizioni, dubbi? E di nuovo ritornano i modi della conoscenza corretta: percezione, inferenza e testimonianza verbale (Nyāya Sūtra, I, 4) posto che la corretta conoscenza è indispensabile per ottenere la felicità (Nyāya Sūtra, I, 1).
I Vaiśeṣikasūtra sono attribuiti a Canada: Secondo questo darśana ci sono nove costituenti della realtà: quattro tipi di atomi (rispettivamente di terra, acqua, fuoco e aria), il tempo (kāla), la direzione, l’infinità delle anime e la mente. Ogni componente della realtà è costituito da atomi, che sono immutabili ed eterni; quello che cambia è la loro disposizione nel tempo e nello spazio. Il testo inizia così: “Ora si spiega il dharma. Il dharma viene dall’esaltazione della suprema divinità, che a sua volta si origina dall’autorità dei Veda”(Vaiśeṣikasūtra, I, 1-3)
Gli Yoga Sūtra di Patañjali danno per scontata la cosmologia del sāṃkhya e il sistema logico di nyāya sul conoscere. Il passo successivo è come ottenere il samādhi, il perfetto stato di liberazione della mente: “lo yoga è la cessazione degli stati mutevoli della mente. Quando questo è avvenuto, il vedente risiede nella sua vera natura. Altrimenti, è immerso negli stati mutevoli della mente” (Yoga Sūtra, I, 2-3). “Gli stati mentali si fermano con la pratica e con il distacco” (Yoga Sūtra, I, 12). “Con la rinuncia e l’indifferenza verso le modificazioni dei guṇa, nasce la percezione dell’anima, puruṣa” (Yoga Sūtra, I, 16).
Pūrvamīmāṃsā e Uttaramīmāṃsā significano rispettivamente “riflessione anteriore” e “riflessione posteriore” e si occupano degli aspetti ritualistici e sacrificali della vita basata sul dharma, armonia cosmica, che implica il “dovere” di mantenere e implementare questo ordine sacro. Infatti Pūrvamīmāṃsā inizia dicendo: “Questa è l’indagine sul dovere” (I, 1). E subito precisa che il dharma non si può conoscere con i sensi di percezione come gli oggetti esterni, ma la sua conoscenza avviene soltanto attraverso i Veda. Quindi la “riflessione anteriore” riguarda il compimento del rito sacrificale “esterno”; la “riflessione posteriore” dell’interiorizzazione del sacrificio, ovvero la conoscenza della natura di brahaman.
I Vedāntasūtra è il trattato che spiega il significato ultimo dei Veda. Unitamente con i commentari costituisce in realtà un corpus, articolato in diverse correnti, almeno sei, facenti capo a differenti filosofi tra cui Śaṇkara (788-820 circa d.C.) e Rāmānuja (1017-1137 circa) seguiti da altri, fino al XVI secolo. I Vedāntasūtra iniziano così: “Qui si studia la natura di Brahman, che è ciò che esiste sin dall’origine. La fonte della conoscenza di Brahman sono le sacre scritture” (Vedāntasūtra, 1-3).
In conclusione, avere qualche nozione sui diversi darśana, oltre allo yoga, rende meno difficile la comprensione della materia. Le finalità sono sempre le stesse, il superamento di avidyā, l’ignoranza. L’interpretazione di BKS Iyengar, come sempre, si distingue per coerenza con la tradizione e geniale capacità di adattare il percorso della conoscenza ai nostri tempi, rendendo possibile la pratica dello yoga “classico” anche agli occidentali per i quali le tradizioni filosofiche dell’India sono lontane e quasi incomprensibili : “La perfezione in āsana significa dunque una unione divina di prakṛti e puruṣa“. Basta praticare con intelligenza e devozione.