Darśana

I darśana o “punti di vista” (sui Veda) sono parte della tradizione filosofica smṛti “secondaria”. Sono illustrazioni di argomenti sapienziali coerenti con la tradizione vedica: ognuno di essi ha un autore, una storia, un contesto, più commentari. Conoscere tutti questi “punti di vista” sui Veda è impossibile, ma sapere qualche cosa sulle loro linee essenziali aiuta a comprendere un po’ meglio l’ambito in cui ci muoviamo, lo yoga, poiché gli Yoga Sūtra ne fanno parte e, come parte di un complesso, di un tutto, danno per scontata la conoscenza anche degli altri darśana o almeno qualche nozione sull’architettura complessiva di questa affascinante costruzione filosofica.

Non si tratta di un argomento solo teorico o accademico. Tutta la filosofia indiana è soprattutto pratica. Quindi è più facile da comprendere se la si studia con riferimento alla propria pratica, logica, meditativa, devozionale; sicuramente esperienziale.

Sāṁkhyakārikā è il testo fondamentale della scuola filosofica sāṃkhya, ritenuta la più antica. Secondo questo sistema filosofico, tutto nasce dall’interazione tra la natura, praktṛi, e la molteplicità delle anime, puruṣa. L’inizio del testo non lascia dubbi sul carattere pratico di questa filosofia: “E’ necessario trovare il modo di contrastare la sofferenza, che può assumere tre forme. Alcuni dicono che questo non è vero, che i modi per contrastare la sofferenza esistono, io dico di no, perché questi modi non sono né efficaci, né durevoli” (Sāṁkhyakārikā, 1). Il superamento della sofferenza nasce dalla conoscenza discriminante del mondo manifesto, sempre in evoluzione, e di puruṣa, che è esistenza allo stato puro. “I modi della conoscenza sono tre, la percezione, l’inferenza, e la testimonianza di una fonte autorevole” ((Sāṁkhyakārikā, 4).

I Nyāya Sūtra, attribuiti a Gautama, sono particolarmente notevoli per la metodologia, ripresa poi da anche da altre scuole filosofiche. Come percepire la realtà in modo veritiero? Come difendersi dai ragionamenti ipotetici, ricordi, supposizioni, dubbi? E di nuovo ritornano i modi della conoscenza corretta: percezione, inferenza e testimonianza verbale (Nyāya Sūtra, I, 4) posto che la corretta conoscenza è indispensabile per ottenere la felicità (Nyāya Sūtra, I, 1).

I Vaiśeṣikasūtra sono attribuiti a Canada: Secondo questo darśana ci sono nove costituenti della realtà: quattro tipi di atomi (rispettivamente di terra, acqua, fuoco e aria), il tempo (kāla), la direzione, l’infinità delle anime e la mente. Ogni componente della realtà è costituito da atomi, che sono immutabili ed eterni; quello che cambia è la loro disposizione nel tempo e nello spazio. Il testo inizia così: “Ora si spiega il dharma. Il dharma viene dall’esaltazione della suprema divinità, che a sua volta si origina dall’autorità dei Veda”(Vaiśeṣikasūtra, I, 1-3)

Gli Yoga Sūtra di Patañjali danno per scontata la cosmologia del sāṃkhya e il sistema logico di nyāya sul conoscere. Il passo successivo è come ottenere il samādhi, il perfetto stato di liberazione della mente: “lo yoga è la cessazione degli stati mutevoli della mente. Quando questo è avvenuto, il vedente risiede nella sua vera natura. Altrimenti, è immerso negli stati mutevoli della mente” (Yoga Sūtra, I, 2-3). “Gli stati mentali si fermano con la pratica e con il distacco” (Yoga Sūtra, I, 12). “Con la rinuncia e l’indifferenza verso le modificazioni dei guṇa, nasce la percezione dell’anima, puruṣa” (Yoga Sūtra, I, 16).

Pūrvamīmāṃsā e Uttaramīmāṃsā significano rispettivamente “riflessione anteriore” e “riflessione posteriore” e si occupano degli aspetti ritualistici e sacrificali della vita basata sul dharma, armonia cosmica, che implica il “dovere” di mantenere e implementare questo ordine sacro. Infatti Pūrvamīmāṃsā inizia dicendo: “Questa è l’indagine sul dovere” (I, 1). E subito precisa che il dharma non si può conoscere con i sensi di percezione come gli oggetti esterni, ma la sua conoscenza avviene soltanto attraverso i Veda. Quindi la “riflessione anteriore” riguarda il compimento del rito sacrificale “esterno”; la “riflessione posteriore” dell’interiorizzazione del sacrificio, ovvero la conoscenza della natura di brahaman.

I Vedāntasūtra è il trattato che spiega il significato ultimo dei Veda. Unitamente con i commentari costituisce in realtà un corpus, articolato in diverse correnti, almeno sei, facenti capo a differenti filosofi tra cui Śaṇkara (788-820 circa d.C.) e Rāmānuja (1017-1137 circa) seguiti da altri, fino al XVI secolo. I Vedāntasūtra iniziano così: “Qui si studia la natura di Brahman, che è ciò che esiste sin dall’origine. La fonte della conoscenza di Brahman sono le sacre scritture” (Vedāntasūtra, 1-3).

In conclusione, avere qualche nozione sui diversi darśana, oltre allo yoga, rende meno difficile la comprensione della materia. Le finalità sono sempre le stesse, il superamento di avidyā, l’ignoranza. L’interpretazione di BKS Iyengar, come sempre, si distingue per coerenza con la tradizione e geniale capacità di adattare il percorso della conoscenza ai nostri tempi, rendendo possibile la pratica dello yoga “classico” anche agli occidentali per i quali le tradizioni filosofiche dell’India sono lontane e quasi incomprensibili : “La perfezione in āsana significa dunque una unione divina di prakṛti e puruṣa“. Basta praticare con intelligenza e devozione.

Lezioni ed attività di Iyengar Yoga: dicembre 2023 e gennaio 2024

Tra Natale e Capodanno non ci saranno lezioni. L’ultima lezione dell’anno sarà sabato 23 dicembre online, la prima del 2024 martedì 2 gennaio in presenza a Torino, Via Guastalla 5.

Le lezioni online riprenderanno martedì 9 gennaio alle 8 e quelle a Castagneto Po giovedì 4 gennaio alle 10.30

Queste tutte le lezioni in presenza a Torino, Via Guastalla 5:

martedì 13-14.30 (Silvia Viglietti)

martedì 17.30-19 (Emanuela Zanda)

mercoledì 13.30-15 (Olimpia Bosco)

giovedi 18.30-20 (Silvia Viglietti)

venerdì 13-14.30 (Emanuela Zanda)

Proseguono inoltre le lezioni in presenza, a Castagneto Po, Villa Maganza ogni lunedì e giovedì ore 10-11.30

Proseguono le lezioni on line

martedì 7.50-9

mercoledì 18.30-20

sabato 18-19.30

Domenica 14 gennaio e domenica 28 gennaio lezione speciale ore 10-13 per insegnanti, allievi insegnanti, avanzati e volenterosi. Il tema è quello delle “azioni” per praticare correttamente gli asana del livello 2, partendo dalla conoscenza del livello 1. Indispensabile prenotazione. I posti sono limitati. La sede è quella di Torino, Via Guastalla 5.

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Conoscere e ottenere la mente yogica

BKS Iyengar pubblicò nel 2010 un libro intitolato: Yaugica Manas. Know and realise the yogic mind. Il libro è rimasto in secondo piano tra le pubblicazioni di BKS Iyengar e non è tradotto in italiano; eppure, riassume in modo fantastico il suo pensiero . Questa è la traduzione dell’introduzione del libro

La mente è una fonte di sorpresa e un argomento di speculazione. Mi ricordo della Gītā quando il Signore Krishna parla dell’anima e dice:

“C’è chi dice sia un miracolo, chi ne parla come un prodigio; un altro ha sentito dire sia una cosa meravigliosa; tutti ne hanno sentito parlare, nessuno ne capisce nulla. L’anima è una “cosa” straordinaria ma impossibile da capire”

Quello che Krishna dice dell’anima si può applicare anche alla mente perché essa è, per sua natura, sfuggente.

Con ogni evidenza, la mente ha una sede reale e tangibile all’interno di noi, ma le sue manifestazioni sono invisibili e non tangibili. Scivola subito via anche quando uno cerca di trattenerla. Ci controlla benché noi abbiamo il potere e la forza di controllarla a nostra volta. Sentiamo che ci è vicina perché pensiamo di controllarla facilmente ma è lontana quando sfugge al nostro controllo. Controllare la mente è come cercare di tenere ferma un’anguilla.

Se il corpo è grossolano, la mente che si trova nel corpo è sottile. Molti pensano che la sede della mente sia confinata al cervello, perché le attività mentali come pensare, ricordare, provare emozioni, imparare provengono dal cervello. Ma la mente si estende al di là del cervello. Secondo gli Yoga Sūtra III, 35 il cuore è ritenuto la sorgente della mente. La mente gioca un ruolo duplice. Sebbene sia intrinsecamente più vicina al cuore, quando agisce, sembra più vicina ai sensi del corpo che all’anima. Visibilmente, la mente viene trascinata nei piaceri dei sensi creando depressione, confusione, esperienze di dolore e gioia. D’altro lato ha la capacità di immaginare e di decidere.

Come esseri umani, abbiamo bisogno di salute mentale oltre che fisica. La mente si muove più velocemente del tempo e quindi raggiunge gli oggetti del mondo prima del corpo. La mente è un qualcosa di essenziale. Abbiamo il senso dell’esistenza perché esiste la mente. E’ difficile addomesticare, educare, controllare, civilizzare la mente. L’evoluzione e la crescita nella mente sono la strada per la trasformazione. Come il mercurio ha necessità di essere estratto lavorando il minerale, così la mente ha bisogno di essere lavorata ed acculturata secondo un processo. Ha bisogno di essere disciplinata, nutrita e rinforzata. Quando la mente è disciplinata ed educata attraverso tapas, svādhyāya e Īśvara Praṇidhāna (YS, II, 1) si trasforma in una mente yaugika. La mente che rimane non educata e non trasformata è una mente sensuale (bhogika).

La natura bhogika o di ricerca dei piaceri della mente può scivolare nell’oceano delle passioni e delle infatuazioni e quindi è essenziale cambiare la mente e portarla dalla ricerca del piacere alla disciplina dello yoga, convertendola da uno stato di mente bhogika a yaugika. Di qui viene la disciplina dello yoga e l’idea di una mente yaugika.

Attraverso la pratica dello yoga, la mente yaugika può essere stirata, diffusa, estesa, allungata, espansa nel senso della longitudine e latitudine in modo tale da pervadere interamente il corpo e l’anima. Queste possono sembrare solo parole; ma per chi intraprende la disciplina dello yoga, la penetrazione è possibile. La mente può essere filtrata, chiarificata e santificata. In questo senso la mente gioca un duplice ruolo. Il piacere temporaneo o bhogiko viene limitato con un movimento verso il basso (adho mukhi) e reso incapace di crescere mentre la disciplina dello yoga porta verso un più alto, illimitato stato di gioia (ūrdhva mukhi).

La mente è vitalizzata dall’elemento vāyu, così è impetuosa come la sua appartenenza all’elemento dei tejas. Il fuoco della mente resta coperto dalle ceneri del divertimento, della passione, infatuazione e così via. Le ceneri che coprono la mente devono essere rimosse dal fuoco dello yoga ( yogāgni). Prima di tutto bisogna conoscere la natura della mente che va verso l’esterno (bhogika) e della mente che va verso l’interno (yaugika).

Yama e Niyama: Il cammino dell’azione

Iniziamo il nostro percorso nella filosofia yoga con gli otto aṅga dello yoga, secondo gli YogaSūtra di Patañjali. Questo è il fondamento della pratica yoga, quello che ogni praticante o semplice curioso di yoga dovrebbe imparare per prima cosa. Poiché si tratta di argomenti ampiamente trattati e molto noti, non vale la pena di spiegarli nelle linee generali, tranne ricordare il sūtra 29 e seguenti del secondo pāda, Sadhana pāda:

II.29 yama-niyamāsana-prāṇāyāma-pratyāhāra-dhāraṇā-dhyāna-samādhayo ‘ṣṭāv aṅgāni

II. 30 ahiṁsā-satyāsteya-brahmacharyāparigrahā yamāḥ

II.32  śauca-santoṣa-tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni niyamāḥ

II.29 Gli otto componenti dello yoga sono yama (astensioni), niyama (principi da osservare), asana (posizioni), pranayama (esercizio del respiro), pratyahara (controllo dei sensi), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (totale assorbimento)

II.30 Le astensioni sono ahimsa (non violenza), satya (non mentire), asteya (non rubare), brahmacharya (non depravazione), aparigraha (non ambizione di possesso)

II.32 I principi da osservare sono sauca (pulizia), santosa (appagamento),  tapah (rigore), svadhyaya (studio dei testi sacri),  Isvara pranidhanani (devozione a Dio).

Yama guida l’elenco dei componenti dello Yoga e ahimsa, non violenza, è la prima delle astensioni, yama. Patanjali non è un moralista, non vuole spiegarci che cosa fare e non fare: si limita a dire che per ottenere gli obbiettivi dello yoga (fermare i movimenti della mente) occorre in primo luogo osservare yama e niyama. BKS Iyengar ha specificato che yama e niyama costituiscono il percorso della pratica, cosa occorre fare ogni giorno, in tutti i momenti della vita, e praticando yoga. Senza lo sforzo costante di osservare yama e niyama, non è possibile seguire proficuamente il cammino successivo, quello della conoscenza.

ahiṁsā: La violenza nasce dalla paura, dalla debolezza, ignoranza, estrema stanchezza. Uno yogi deve pensare che gli altri devono avere giustizia, ma egli stesso deve in primo luogo perdonare. La violenza si combatte soprattutto liberando dalla paura; satyā: qualsiasi forma di manipolazione della realtà mette lo yogi in una condizione falsa. Non si tratta solamente della parola, o del pettegolezzo, prima di controllare le parole, occorre controllare la coerenza della propria condotta. asteya: l’invidia e il desiderio delle cose altrui rende le persone miserabili. Non si tratta solo di “cose” materiali, ma ci si può anche appropriare delle idee degli altri, o fare un cattivo uso di quello che si è ricevuto. brahmacharya: Non si tratta esclusivamente di celibato, ma di saper utilizzare l’enorme vitalità, energia e coraggio che derivano dal controllo del corpo, della parola e della mente. aparigraha: Si tratta di rendere la propria vita la più semplice possibile, senza disperdere energie inutili e di sviluppare la capacità di accontentarsi.

sauca. La pulizia è intesa in senso ampio: esterno, interno del corpo, mente, pensieri, abitazione, cibo ecc. Riguardo agli asana, occorre tenere a mente la pulizia nell’esecuzione, evitare la sciatteria, non praticare in modo distratto, non interrompersi per fare altre cose. santosal’appagamento va praticato, non nasce spontaneamente. Spontaneamente l’essere umano desidera molte cose, è tentato da cose materiali e riconoscimenti. L’appagamento e la serenità sono condizioni della mente, derivano da una conoscenza e pratica matura, al di là delle differenze di razza, credo, ricchezza e istruzione. Vedere tante differenze rende il pensiero ristretto e sterile. tapahvigore, rigore, severità nella pratica, autodisciplina. Lavorare non per l’obbiettivo egoistico, ma per il cammino supremo. Con la pratica di tapah, lo yogi ottiene grande forza nel corpo, nella mente e nel carattere. svadhyaya: alcuni interpretano studio dei testi sacri, BKS Iyengar interpreta come studio del sé, attraverso i testi sacri. Isvara pranidhanani: chi possiede fede, è libero dalla disperazione. Quando si sviluppa la capacità di devozione, si ottiene grande potere mentale e forza spirituale

Tuttavia quello che interessa non è ricordare a memoria quali siano gli otto aṅga o i dieci yama e niyama. Quello che interessa è comprendere il loro significato all’interno della pratica yoga. 

A proposito della figura in apertura, con il simbolo dell’AUM, una svastica e due piedi che chiude un testo, questa è l’immagine alla festa del Guru Purnima, nel luglio 2010 a Pune, all’Istituto di BKS Iyengar. Non sapendo leggere il testo, ho chiesto il significato e la risposta è stata: ” Andate in giro per il mondo. cercate la vostra strada. Dove abbasserete la testa, lì è il vostro Guru”.

la mandria + india 363

(Gli appunti su yama e niyama sono tratti da BKS Iyengar, Collected works -Astadala Yogamala, II, pp. 37-44; VII, pp. 89-100)

Non violenza, la base della pratica yoga.

Domenica 29 gennaio, 12 e 26 febbraio, percorso di esplorazione alla ricerca della “non violenza” nella pratica di āsana e prāṇāyāma. Dalle 9.30 alle 12.30 a Torino, Via Guastalla 5. La pratica è adatta agli allievi avanzati e volenterosi. Non violenza nella pratica yoga deve portare al distacco, alla non-competizione, alla calma del corpo, della mente e del respiro. I posti sono limitati. Chi desidera partecipare, confermi al 3357011099 o emanuelazanda@virgilio.it 

E’ il momento di ricordare l’importanza della “non violenza” nella pratica dello yoga.  Guerre ce ne sono sempre state, ma ora sentiamo quotidianamente i suoi effetti terrificanti a poca distanza da noi, insieme alla folle ricerca della “vittoria” militare, qualcosa che speravamo sepolto nei libri di storia del secolo scorso.

Per studiare ahiṁsā (non violenza) nella pratica yoga, un buon punto di inizio è il commento di Edwin Bryant al sūtra II, 30 di Patañjali. Dopo aver elencato gli otto aṅga (rami) dello yoga (yama, niyama, āsana, prāṇāyāma, pratyāhāra, dhāraṇa, dhyāna samādhi; YS, II, 29), Edwin osserva che nei metodi tradizionali di interpretazione dei testi antichi, quello che viene per primo (o per ultimo) ha un rilievo particolare (Bryant 2019, p. 229): gli yama (astensioni), quale primo “ramo” dello yoga, ne costituiscono la base e ahiṁsā (non violenza) apre la lista degli yama.

La filosofia indiana antica aveva già evidenziato che la propensione a risolvere i problemi con la violenza era di gran lunga la peggiore tra le caratteristiche dell’essere umano.

Forse non a caso lo yoga “contemporaneo” è praticato per lo più da donne e solo una minoranza tra gli uomini si sente attratta da una disciplina che mette la “non violenza” al primo posto tra le regole. Comunque il tema riguarda tutti gli esseri umani e le differenze di genere non portano, in questo caso, da nessuna parte.

Patañjali vuole dire che fino a quando non si pratica la non violenza, non si possono ottenere risultati nella pratica yoga. E’ importante ricordare sempre che Patañjali era un filosofo, non un moralista. La sua esposizione è rivolta a spiegare il da farsi per raggiungere gli obbiettivi dello yoga, la quiete della mente, la cessazione dei pensieri.

Che cosa si intende esattamente con non violenza? Non violenza è non danneggiare nessuna creatura vivente e le diverse comunità dell’India antica hanno dato a questo principio interpretazioni più o meno rigorose. Quello che ha ispirato il concetto di non violenza è la convinzione che tutte le creature contengano un ātman o puruṣa e che tutti gli ātman (noi traduciamo in modo approssimativo con “anima”) abbiano uguale valore dal punto di vista spirituale.

A me piace pensare all’ātman come ad una scintilla spirituale presente in tutte le creature viventi,  che consente l’evoluzione e la liberazione dal mondo della materia. E’ la parte “reale” di ciascuna creatura, al di là dell’involucro transitorio in cui è contenuta.

Qualsiasi coinvolgimento in atti violenti, di qualsiasi tipo, implica, come conseguenza karmica, il subire, in questa o in una futura vita, lo stesso tipo di violenza. Inoltre, essere coinvolti in atti di violenza, alimenta la materialità dell’aspetto mentale citta, peggiorando l’ignoranza e creando ostacoli alla consapevolezza.

I commentatori di Patañjali hanno osservato che non si sta parlando soltanto della violenza fisica: l’odio, la malizia, le espressioni verbali volte a ferire il prossimo, le minacce, l’incutere paura e creare tensione sono tutte manifestazioni che uno yogi deve riconoscere ed evitare. La non violenza deve essere osservata con il pensiero, l’azione e la parola.

Noi personalmente siamo convinti di essere incapaci “di far del male ad una mosca”: ma occorre sempre cautela. Ahiṁsā non sarebbe la base della pratica yoga se la violenza non fosse qualcosa che riguarda ognuno di noi e che sarebbe superficiale ignorare. La storia, anche recente e recentissima, dimostra, ancora una volta, la saggezza della filosofia yoga. Cerchiamo quindi di intendere correttamente ahiṁsā per portarla nella nostra vita e modo di praticare ed insegnare.

Geetaji: focalizzare l’attenzione nella pratica di asana

In questa lezione, tenuta all’Istituto di Pune a giugno 2018, Geetaji prese spunto dall’osservazione degli allievi (soprattutto nella pratica di parsvottanasana) per chiarire alcuni aspetti dell’Iyengar Yoga insistendo sul fatto che non esiste un unico modo di eseguire gli asana, ma occorre sviluppare l’osservazione e la discriminazione. In questo modo, l’esecuzione delle posizioni, più o meno avanzata,  è risultato della qualità dell’osservazione e dell’impegno costante nella pratica.

Adho  Mukha  Virasana

Adho Mukha Svanasana le gambe sono attive, la mente è passiva

Uttanasana, piedi separati, ginocchia separate, cosce separate, ischi separati. Chi non sente questa “separazione” deve aumentare la distanza.

urdhva hastasana/adho mukha vrchasana 

uttanasana piedi uniti, aprire le dita, premere i talloni. Aprire il muscolo del polpaccio e spingere i quadricipiti indietro e su, non in avanti.

Padangustasana, piedi separati. Aprire i lati del torace, tenere gli alluci, testa su, torace su. Braccia stirate, rotazione delle braccia.  Piegare le braccia, azione delle braccia come in sirsasana.

Pada hastasana, gomiti aperti e piegati, estendere i due lati del tronco e testa giù

prasarita padottanasana. Per far rimanere l’addome soffice, usare un mattone o un bolster per la testa. Si usa questa modalità durante il ciclo, capire la differenza. Fare è facile, ma capire può richiedere molto tempo. Le natiche vanno ruotate in avanti, dietro delle cosce aperte, testa giù. Eventualmente, piedi sui mattoni. Dalla posizione, camminare in avanti con le mani, continuando a ruotare le natiche in avanti.

parsvottanasana. Braccia su, aprire i lati del torace, espirare e portare la testa sulla tibia. La natica della gamba dietro non deve crollare. Le mani ai lati del piede, poi dietro. L’addome deve ruotare verso la gamba davanti e il piede davanti deve rimanere diritto. Il torace è in linea come in hanumanasana. I principianti possono ruotare il piede dietro di 90 ° così c’è l’equilibrio e l’allineamento, ma gli studenti avanzati devono ruotare di 60°così c’è estensione della gamba dietro, dell’esterno della coscia. Se i piedi sono allineati non fluisce l’energia, la posizione è bloccata.

utthita hasta padasana/parsvottananasana.

Iyengar yoga è fatto per il corpo, la mente e l’anima. Usate viveka, la discriminazione, tra conoscenza corretta e conoscenza errata. La vostra pratica deve essere fisica, mentale, ma anche spirituale. Se non ci sono queste tre componenti, non è yoga, non è Iyengar Yoga. Occorre rimuovere le impurità per raggiungere viveka. Purezza, chiarezza, spiritualità fanno scorgere l’anima, senza dubbio. Geeta non ha detto di mettere il piede in questo o in quell’altro modo, ma quando seguite gli insegnamenti trovate più libertà. Ogni parte del corpo si apre di più, si trova spazio per la parte organica, per l’energia. Nella zona pelvica, muladhara, c’è energia. Muovere la parte bassa dell’addome in avanti, ruotare l’osso pubico. Portare la concentrazione in questo punto. Non è una questione di tecnica, ma di concentrazione e discriminazione. Fate le azioni e vedete cosa succede. Fare le azioni senza osservare non serve. Perché un’area del corpo venga osservata deve essere passiva. L’osservazione è pratyāhāra. Si può anche eseguire praticando asana. Come diceva Guruji, è meditazione attiva.

parsvottanasana. Estendere il tronco, rimanere al centro.

sirsasana. Ekapada sirsasana x3. Parsva sirsasana. Parsvaikapada sirsasana. Virasana in sirsasana, ruotare. Portare le ginocchia all’addome e ruotare. Gambe su. Virasana di nuovo. Ginocchia all’addome.

adho mukha virasana ginocchia unite

sarvangasana. Senza cintura.

La mente yogica (una vacanza studio in Sardegna)

Alla conclusione di un bellissimo viaggio di studio in Sardegna, l’argomento scelto per le conversazioni di filosofia, “La mente yogica” si è rivelato davvero felice, come se il grande Maestro BKS Iyengar ci avesse suggerito di volta in volta le parole giuste per aiutare ogni praticante nel suo percorso. L’alternarsi di lezioni di pranayama, asana e filosofia yoga ha aiutato tutti ad entrare più in profondità in questo immenso campo di conoscenza. Ha aiutato me soprattutto, l’insegnante, ad integrare i diversi aspetti dello yoga e a cercare le espressioni più semplici e dirette per agevolare la comprensione. Il luogo scelto per il nostro viaggio ha certamente fatto sì che lo studio si svolgesse nelle condizioni ottimali: la confortevole ospitalità dell‘hotel Sandalyon, a San Teodoro; la stagione non più di affollamento dei luoghi e delle spiagge, il tempo variabile ma per lo più soleggiato, la presenza di una “sala yoga” con il cielo al posto del tetto, ma riparata dal vento…

La mente sfugge alla nostra comprensione come il mercurio sfugge dalle dita. Sentiamo che è vicina a noi ma non riusciamo ad afferrarla. L’idea comune occidentale che la sede della mente sia il cervello accresce la confusione. YS, III.34: hṛdaye citta-saṁvit, ovvero [Con il saṁyama] sul cuore, nasce la conoscenza della mente. Che cosa è saṁyama? E’ l’insieme delle fasi più elevate del percorso dello yoga, dalla concentrazione alla meditazione. Ma noi possiamo benissimo intenderlo come pratica yoga e basta. Non per nulla esistono āsana che portano la cima della testa in basso, mantenendo il torace aperto. Nel suo testo “Yaugika Manas. Know and realise the yogic mind” (Mumbai, 2010), BKS Iyengar ci accompagna in un viaggio affascinante sul come la pratica yoga cambi l’atteggiamento mentale e permetta di avvicinarsi alla realtà della mente. Normalmente, la mente è condizionata dalle impressioni dei sensi che creano esperienze di gioia e dolore, di esaltazione e depressione. La confusione peggiora quando non si comprende che il nostro punto di vista di essere umano è molto limitato; eppure l’io, che fa parte della mente, si sente al centro dell’universo e quindi patisce una sensazione di continua frustrazione o prigionia.

YS, II.1: tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni kriyā-yogaḥ, ovvero Kriyā-yoga, il cammino dell’azione, è costituito da autodisciplina, studio e devozione al Signore. Guruji aggiunge: con la pratica dello yoga, la mente può essere allargata, estesa, stirata, allungata, focalizzata, concentrata. L’attenzione necessaria alla pratica degli āsana poco per volta ci insegna tutto questo, a condizione di praticare con disciplina, passione e devozione. Cosa vuole dire devozione in questo caso? Vuole dire fiducia in uno scopo più alto, al di là del semplice esercizio fisico. Lo scopo più alto è il trascendere la condizione della mente individuale, che è legata alle continue modificazioni del mondo naturale. Per quanto riguarda la mente, le continue modificazioni le possiamo sentire nel variare continuo dello stato mentale e dalle “fluttuazioni” che, al di là della nostra volontà, disturbano la quiete. Le affermazioni di Patañjali si basano su un preciso sistema filosofico, il sāṅkhya. Secondo questa antica filosofia dell’induismo ortodosso, l’intelligenza cosmica diventa intelligenza individuale e l’energia cosmica diventa energia individuale. L’essere umano comunica con l’esterno grazie ai cinque sensi, ai cinque organi di azione e cinque organi di percezione. La mente si trova così al centro di un sistema complesso e può essere attirata, come da una calamita, dai piaceri dei sensi oppure dalla propria vera natura spirituale.

Lo studio della filosofia yoga, alla fine, sta nello studio della mente che è al centro delle due realtà, il mondo naturale e il mondo spirituale. Aveva colto bene Roberto Calasso spiegando la filosofia degli antichi rishi che “udirono” la sapienza direttamente da Brahman: “L’unico pensiero è il riconoscimento che l’esistenza dell’universo è un fatto secondario e derivato rispetto all’esistenza della mente” (Ka, Milano, 1996, pp.205-206). Infatti fa parte della stessa sapienza “udita”, un’altra fonte cui BKS Iyengar fa spesso riferimento, la Taittirīya Upanishad, un testo la cui origine (quale sapienza orale) si fa risalire alla prima metà del primo millennio a.C. In questo testo si racconta la teoria dei kosha, gli strati che avvolgono l’anima, o Atman, la versione individuale di Brahaman. In questo nucleo profondo esistono tre livelli denominati nell’insieme ananda-maya kosha, o livelli di beatitudine. Questi sono avvolti da Vijñãnamaya kosha, o livello dell’intelligenza. Si tratta della parte più evoluta della mente, a diretto contatto con i luoghi dell’anima. L’intelligenza è avvolta dalla mente, o manomaya kosha, che riceve le impressioni dagli organi di azione e organi di percezione. La mente è avvolta dallo strato energetico-fisiologico o pranamaya kosha. l’insieme delle fonti di energia individuale che nutrono la persona fisica. L’energia individuale è avvolta dallo strato materiale in senso stretto, muscoli, ossa e articolazioni. Il testo delle Upanishad ne parla come “livello del cibo”. Si chiama annamaya kosha.

il nostro Guru, BKS Iyengar ha studiato tutta la vita i rapporti corpo e mente per insegnare agli occidentali, che hanno difficoltà a comprendere questa filosofia, come attraversare gli strati dell’essere umano proprio partendo dal corpo. Iyengar amava ricordare un sutra in cui si spiega che con la pratica degli āsana, il dualismo tra mente rivolta all’esterno e all’interno viene superata: II.48 tato dvandvānabhighātaḥ, in questo modo non si è afflitti dalla dualità degli opposti, e “questo modo” è la pratica degli āsana (se correttamente eseguite), ovvero posizioni stabili e confortevoli, perché lo sforzo che normalmente viene generato dalle impressioni dei sensi è annullato dalla “meditazione in azione” che permette di riassorbire all’interno le sensazioni del corpo. Con gli āsana si integra il lavoro degli organi di azione con gli organi di percezione,  la mente, l’intelligenza e la consapevolezza. Con la nostra pratica abbiamo sperimentato, ci siamo esercitate a sentire questo. Se si tratta il corpo come un oggetto si percepisce sforzo, ma se lo stesso corpo diventa il soggetto, l’anima o «vero sé» si riunisce al corpo. Il percorso dello yoga è un percorso verso l’interiorità e il controllo delle fluttuazioni; così la pratica trasforma il corpo e la mente.

La spiaggia Isuledda

La vacanza studio è stata piacevole e proficua perché eravamo un bel gruppo: Isa, Clara, Franca, Laura, Angela, Luciana, Caterina, Dianella, Silvana, Anna, Margherita, Gavino. Un grazie speciale alle colleghe Alessandra Belloni e Maria Antonietta Cugusi per la loro partecipazione….a presto!

La pratica personale nello yoga. Alcune riflessioni

Abbiamo dimenticato le lezioni “in presenza”, condivise e affollate di tante persone. Chissà quando sarà possibile praticare di nuovo con i tappetini uno vicino all’altro. Ci siamo abituati a seguire le lezioni da remoto, che hanno pregi e difetti. Ma chi pratica yoga regolarmente ha sicuramente approfondito il discorso della pratica personale: all’inizio con le sequenze per il sistema immunitario, poi con il pranayama e la meditazione, poi in modo di continuare l’aggiornamento anche per essere abbastanza “freschi” da poter fare lezione da remoto. Almeno, così ho fatto io, con tanti altri insegnanti.

In questo periodo difficile, è necessario motivare le persone a coltivare la loro pratica personale. Chi non ha mai praticato da solo dovrebbe iniziare, e chi pratica solo qualche volta dovrebbe essere più costante. Chi già pratica dovrebbe aggiungere il pranayama e la meditazione regolarmente. Lo yoga è un percorso e va incrementato. Siamo fortunati ad avere questo strumento per rendere il corpo più adattabile e forte, la mente più flessibile e rilassata. Di spirito di adattamento, in questo periodo, c’è grande necessità. E anche di salute, fisica e mentale.

Che cos’è esattamente la pratica personale nello yoga?

Gli Yoga Sutra rispondono molto chiaramente a questa domanda: II.1 tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni kriyā-yogaḥ, Kriyā-yoga, il cammino dell’azione, è costituito da autodisciplina, studio e devozione al Signore. Possiamo intendere benissimo Kriyā-yoga con pratica personale, l’azione, quello che si fa tutti i giorni. Ora, autodisciplina e studio non hanno bisogno di essere spiegati: senza autodisciplina non c’è alcuna azione, nessuna pratica; per lo studio esistono infiniti testi, libri, siti internet, lezioni registrate, video: l’imbarazzo della scelta.

Invece, devozione al Signore richiede una spiegazione per evitare equivoci. Secondo la filosofia indiana l’uomo NON è il centro dell’universo, ma partecipa della immensità dell’universo. La sua finalità è il distacco dalla condizione di instabilità e sofferenza del mondo in cui viviamo, dove ogni azione ha una causa e un effetto. Questo è difficile da comprendere per gli occidentali perché la nostra filosofia occidentale è esattamente l’opposto, è rivolta alla valorizzazione dell’individuo singolo, della sua libertà di scelta, dei suoi diritti, del suo percorso intellettuale.

Quindi per praticare yoga con profitto occorre per prima cosa avere consapevolezza che il nostro obbiettivo non è quello di dimostrare qualcosa, ma di raggiungere uno stato di salute, fisica e mentale; non si tratta di fare semplice esercizio fisico o di assumere un atteggiamento competitivo, anche con noi stessi. Poiché si tratta di un principio che esula dalla nostra formazione e cultura occidentale, non è facile da acquisire. Nella pratica yoga è utile avere un atteggiamento umile, da osservatore.

“Il corpo è il mio tempio e le asana le mie preghiere” (BKS Iyengar): c’è qualcosa di ritualistico nella ripetizione delle posizioni, delle sequenze, il nostro corpo e la nostra mente devono diventare una materia di studio. Al limite, la pratica non è qualcosa che “si fa” ma che “accade”

Dove, quando e per quanto tempo praticare

Queste sono indicazioni che si trovano sui libri prima delle sequenze. Però sono anche gli aspetti su cui spesso gli studenti si bloccano, quindi vale la pena di dedicare qualche parola o leggere un libro sull’argomento. Si può praticare dovunque, ma per una pratica regolare e disciplinata il posto migliore è casa propria, e in particolare un luogo della propria casa da dedicare esclusivamente alla pratica. Non è necessario tanto spazio, bastano pochi metri quadri vicino ad un muro libero. Abbiamo a volte la casa piena di oggetti inutili, quindi occorre fare delle scelte e liberare un po’ di posto. Per quanto riguarda il tempo, il momento migliore è il mattino, dopo aver preso un tè o un caffè ma prima della colazione. Per chi non ha mai praticato da solo, se si riesce a dedicare 30-40 minuti, è un ottimo inizio.

In che cosa consiste esattamente la pratica

E’ meglio che siano gli Yoga Sutra a spiegarlo con gli otto “anga” dello yoga

I tre “anga” principali, con riferimento all’Iyengar Yoga, sono asana, pranayama e dhyana. Questo è quello che andrebbe praticato regolarmente, quotidianamente. Se siete un principiante, che non ha mai praticato da solo, chiedete al vostro insegnante. In questo caso, 15 minuti al giorno di asana attive, 10 di asana passive e 5 di savasana può essere un buon inizio. Savasana sostituisce il pranayama e la meditazione.

Se siete uno studente intermedio, che pratica Iyengar Yoga da più di due anni ma che ancora non si è consolidato nella pratica personale, cercate delle sequenze adatte al vostro livello e divertitevi a comporne delle nuove. In questo caso 30 minuti di asana attive, 10 minuti di asana passive compreso savasana, 10 di pranayama e 10 di meditazione è lo schema giusto. Se non avete un’ora al giorno da dedicare alla pratica, privilegiate il pranayama e la meditazione sugli asana, che si potranno anche eseguire a giorni alterni.

Non tutte le persone hanno lo stesso livello di energia, rispettate il vostro e non fate di più di quello che potete, ma nemmeno di meno. La pigrizia è il peggior nemico della pratica personale. Dedicate questo tempo ad osservarvi dall’esterno, osservate il corpo, la mente e il respiro. Usate un timer per il tempo in cui decidete di stare in un determinato asana. Osservate soprattutto il momento in cui la mente si “irrita” per la noia o la fatica e cercate di capire dove nasce questa reazione. Forse in quel momento il corpo, la mente e il respiro hanno avuto difficoltà ad andare d’accordo “come i componenti di una famiglia”.

Praticare da soli è diventare “maestri” di se stessi. Il Maestro è il guru, chi porta dal buio alla luce; l’insegnante trasmette semplicemente delle informazioni. Ma se praticate da soli, il vostro compito non è di trasmettervi informazioni, ma di auto-accompagnarvi in un percorso. Potete cambiare insegnante, ma voi sarete sempre il vostro guru.

L’augurio è che la pratica personale dello yoga contribuisca ad un percorso verso la luce….

Come gli Yoga Sutra di Patañjali ci possono aiutare proprio ora

Ogni lunedì alle 19, per circa quaranta minuti, ho il piacere di leggere e commentare con i miei allievi e gli appassionati di yoga che lo desiderano qualche sutra degli Yogasutra di Patañjali. L’iniziativa, che è nata quest’autunno, si è rivelata particolarmente adatta alla comunicazione on line a cui tutti abbiamo dovuto adattarci.

In questo momento speciale e difficile, le parole di saggezza dello Yoga sono quanto mai attuali e sembrano persino più facili da comprendere. La difficoltà più grande nelle circostanze presenti è quella di disciplinare la mente, che ama correre liberamente dietro i propri desideri o si chiude e si crogiola nelle paure. La mente preferirebbe magari cercare un capro espiatorio di fronte alla pandemia (un “complotto”) oppure negare l’evidenza e pensare che si tratti di un brutto sogno. Gli ostacoli che Patañjali chiama kleśa sono esattamente quelli che si frappongono tra la nostra mente e la possibilità di valutare lucidamente e con ogni possibile serenità la situazione.

Chi pratica yoga da qualche mese o da qualche anno e ha iniziato dalla pratica di asana e pranayama, spesso non conosce nulla o quasi della filosofia yoga. Questo non è sbagliato; lo yoga è qualcosa che va sperimentato, prima che imparato a memoria o compreso razionalmente. Pramana, la conoscenza corretta, nasce dall’esperienza individuale: possiamo dire che una cosa è vera se l’abbiamo vista o provata personalmente.

Ma quando la pratica yoga inizia a mostrare i suoi benefici, è interessante conoscere qualcosa di più del contesto culturale in cui si è sviluppata la disciplina che stiamo praticando. E allora si può davvero aprire un mondo…in cui ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da scoprire.

La partecipazione alle lezioni di filosofia yoga su zoom è libera e gratuita. Inviare mail a emanuelazanda@virgilio.it per ottenere il link di ingresso.

Proseguono le altre lezioni di Iyengar Yoga sulla piattaforma zoom secondo il consueto orario:

lunedì e giovedì 9.30-11

martedì 17.30-19

mercoledì 18-19.30

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